Enigma per solutori più che abili: se voi foste Steve Kerr, sareste contenti della prestazione sopra le righe della panchina Warriors in gara 1? La risposta dei numeri è eloquente.
45-10 rispetto alla controparte in maglia Cavs, soltanto le riserve dei Pistons edizione 1989 segnarono così tanto in una finale e bisogna tornare indietro di 50 anni per trovare un simile divario.
Eppure, un coach lungimirante cerca sempre di distinguere i fuochi di paglia dalla più solida realtà e considera il ragionevole rischio che l’exploit dei suoi rientri nella prima casistica.
Se da una parte hai dimostrato ai Cavs che puoi vincere anche senza Curry e Thompson, dall’altra hai, per l’appunto, giocato senza Curry e Thompson, annullati per lunghi tratti dalla difesa imbastita da Tyronn Lue.
Un lusso che non puoi concederti ogni notte, così come non arriveranno ogni notte i 31 punti combinati da Shaun Livingston e Leandro Barbosa, specialmente quando la serie si sposterà in Ohio.
8/10 dal campo il primo, 5/5 il secondo, ma riguardando i video Kerr analizzerà la qualità dei tiri scelti più che le percentuali. La regola aurea della pallacanestro, chi segna ha sempre ragione, passa in secondo piano quando l’obiettivo è il Larry O’Brien Trophy.
Preferiresti che il tuo attacco mostrasse la fluidità di cui è capace, la stessa che ha generato 29 assist contro i 17 di Cleveland, anziché cavalcare gli isolamenti del Brazilian Blur e di Livingston, che pure sa tirare in fade away contro qualsiasi difensore e ha partorito da solo il parziale decisivo.
Strana e affascinante la sua storia, un Lazzaro che nonostante un ginocchio tenuto insieme col nastro adesivo partirebbe titolare in una dozzina di squadre NBA, un attaccante dal passo felpato e con un flow sul parquet importato dai primi anni 2000; un bipede senziente in fatto di pallacanestro, che sa quello che dice – la bella intervista per Rob Mahoney di Sports Illustrated è qui a dimostrarlo.
Ma le Finals sono il campo da gioco dei grandi, le storie a lieto fine sono solo un piacevole opening act; in vista di gara 2 l’imperativo di Steve Kerr è far riconquistare agli Splash Brothers le luci del palcoscenico.
Nel frattempo, ha altro di cui compiacersi. Draymond Green ha ritrovato il suo migliore istinto per la pallacanestro, Tristan Thompson non gli oscura la visuale come faceva Kevin Durant e può mettere in moto la giostra dell’attacco.
Tenendolo sul perimetro allontana dal pitturato l’unico rim protector di cui Cleveland dispone, poi lo punisce con tagli backdoor e tiri da 3 dalla punta, i suoi preferiti.
Andre Iguodala prosegue le sue nottate di grazia con una difesa sontuosa e un plus/minus di +21. Contiene James in attesa del canonico raddoppio, già che c’è gli scippa un paio di palloni con le calamite per cuoio che ha al posto delle mani, accetta il post-basso di Kevin Love e gli contesta il tiro, ben conscio delle percentuali modeste del Beach Boy nei pressi del ferro (2/8 ieri notte).
Cleveland ha preparato una difesa basilare all’insegna di un unico motto; se qualcuno ci deve battere, che non siano Steph e Klay.
La reazione dei Warriors è stata da squadra intelligente, di quelle in grado di adattarsi al volo. Ogni azione si riduceva a un 4 contro 3 a metà campo, ma devi avere le dita sensibili di Green, Iguodala e Bogut per sfruttare le spaziature in velocità.
Tanti punti facili con tagli a canestro; nulla che Lue non avesse messo in conto, c’è da credere, con numerose pecche da limare nell’esecuzione. Errori di comunicazione, distrazioni, accoppiamenti difensivi da rivedere con il jolly LeBron parcheggiato a lungo su Barnes prima di convergere su Curry. Tutti dettagli migliorabili, ma per il momento Golden State ha la risposta.
Il lavoro della difesa di Kerr è stato ancora più impressionante. Studiata con cura e eseguita alla perfezione nonostante le poche ore trascorse dall’ultima gara 7; evidentemente, si erano messi avanti col lavoro.
Il piano è raddoppiare, persino triplicare LeBron James quando pianta la bandiera nel pitturato, forzarlo in isolamenti che rallentano il flusso del gioco. In questi playoff Cleveland ha tirato meglio dei Warriors dall’arco.
Non è difficile capire perché, coi biscottini che il Prescelto recapita ai compagni pur in mezzo a una selva di mani. Qui entra in gioco l’egregio lavoro degli esterni che sprintano sul perimetro a contestare i tiri e non abboccano a finte e extra-pass di cui i Cavs abusano. Il desaparecido JR Smith ne prende appena tre, Lue non si fida della tenuta di Channing Frye e gli fa vedere il parquet col binocolo. Il piano funziona.
Cleveland è invitata a attaccare il ferro, 17/35 nel pitturato, non a caso il volume di soluzioni più alto dai 40 della partita di Natale contro gli stessi Warriors. Preferiscono lasciare quarti di campo a Love e Irving, convinti di poter incassare i montanti dei due sidekick del Re.
Dall’arco totalizzano un modesto 7/21. Tuttavia, secondo i dati di SportVU 19 di quei tiri sono risultati comunque uncontested. La differenza sta tutta nella percentuale di conversione, scesa al 37% dal 46% dei primi tre round.
La narrativa del post-gara 1 è un po’ uno specchietto per le allodole, lo stesso ruolo rivestito da Curry e Thompson sul campo. L’account Twitter della squadra gigioneggia sul concetto di strength in numbers, sulla stampa è un fiorire e di lodi sperticate agli unsung heroes della panchina.
Si dicono fiduciosi di replicare la prestazione, all’occorrenza. “It could be anyone on any given night”, afferma Livingston. Ma sotto al sorriso di circostanza Steve Kerr cova ancora una stilla di quella rabbia che ha sfogato colpendo i punti di pressione della lavagnetta.
“Meglio scaricarla su un oggetto piuttosto che su un giocatore”, ha glissato; in quel momento i suoi avevano smarrito il vantaggio e fronteggiavano le minacce che i Cavs pongono pure quando la loro pulizia di esecuzione è modesta.
L’impatto di LeBron James sulla partita, ad esempio, che ti sfianca con la sua azione muscolare e ti fa temere il momento della serie, inevitabile, in cui prenderà la faccenda sul personale.
Le sfuriate di Irving che mettono sotto scacco Curry, unico a guadagnarsi tiri liberi in doppia cifra nonostante le reiterate incursioni nel pitturato di Cleveland – altro dato da tenere a mente in vista di un arbitraggio meno permissivo alla Quicken Loans Arena.
Se sarà coach Lue a farsi carico del grosso del lavoro per domenica notte, Steve Kerr ha da acuire le sue doti telepatiche e prevederne mosse e contromosse. Quando la pioggia di triple dei Cavs si abbatterà sulla sua testa, i cannoni dei Warriors faranno meglio a farsi trovare armati.
Scrittore e giornalista in erba – nel senso che la mia carriera è fumosa -, seguo la NBA dall’ultimo All Star Game di Michael Jordan. Ci ho messo lo stesso tempo a imparare metà delle regole del football.
One thought on “I Warriors dopo Gara 1: Mr. Livingston, I presume”