Non posso scrivere una recensione. Mai nella vita. Prima di tutto non ne ho le competenze, e in questo mondo di dilettanti allo sbaraglio ammettere un proprio limite è diventato un gesto raro.
Poi, più che altro, non posso parlare del libro di Flavio Tranquillo in termini razionali. Flavio Tranquillo è stato, insieme a Federico Buffa, quello che è stato Socrate per la filosofia, ovvero un maestro, ovvero colui che come fanno le levatrici ha facilitato ad estrarre la passione per il Gioco dalla nostra anima.
Altro tiro, altro giro, altro regalo, già mi posso fermare al titolo, già alla sola copertina, con citazione di Michael Jordan. Ok stop, per me basta così.
Anche questo mio pezzo potrebbe già finire. In fondo sento il bisogno di tramandare ai posteri solo una parola : grazie.
Grazie Flavio, grazie per tutto quello che hai fatto in questi anni e continui a fare (ogni riferimento sul “continui” è puramente incidentale, poi ci torneremo).
Quindi quello che segue è del tutto inutile, ma se volete non mi abbandonate fin d’ora. Di nuovo, basta solo quel grazie.
La verità è che non so per quale fortunata genesi Flavio Tranquillo ci ha regalato non un semplice libro, che so, magari uno come quello scritto insieme ad Ettore Messina ma un testo autobiografico che è tutto quello che noi appassionati abbiamo sempre desiderato.
Un libro che ci racconta la sua passione per il Gioco, che ci spiega come si fa una telecronaca e come filosoficamente la intenda, un libro in fondo che ci fa conoscere meglio l’uomo dietro la Voce che abbiamo ascoltato estasiati in tutti questi anni.
Vi suona come indiscriminata celebrazione ? Provateci voi. Io con Flavio Tranquillo e Federico Buffa ci sono cresciuto. Di più, tornando alle citazioni classiche, ho fatto il Ginnasio anche io come loro due, per me loro sono stati Omero e Virgilio.
Hanno cantato i nostri eroi come il primo dei poeti. Ci piaceva vedere Michael e Iverson come oggi Stephen Curry e James Harden ma mi è piaciuto con lo stesso trasporto emotivo il modo in cui mi sono state raccontate le gesta intorno alla NBA.
Fu eroe Achille ma oggi sarebbe derubricato a tre righe su Wikipedia se tal Omero non avesse preso in mano la lira.
E quindi Flavio e Federico ci hanno accompagnato, come Virgilio con Dante, nei gironi del paradiso che chiamiamo NBA. Ci hanno regalato le chiavi per aprire la porta di questo meraviglioso mondo. La mia stima per loro non è tale, è amore.
Flavio con la sua passione che non è solo “alzare il volume della radio”, col suo sapere enciclopedico, col suo manuale su come si debba fare la prima voce.
Federico con il genio, semplicemente con il genio.
Il ritmo, l’accortezza tecnica, la sapienza, gli aneddoti, quell’andare oltre la didascalia accennando agli uomini dietro i giocatori, non per ultima l’ironia e l’auto-ironia.
Se Federico ci ha lasciati, ma ci vorrebbe un altro spazio per parlare della sua “The decision” che rispetto piangendo, ma rispetto profondo pur rimane, Flavio continua a parlarci del nostro meraviglioso Gioco.
Il basket è quella disciplina che ha avuto il miglior atleta di tutti i tempi di tutti gli sport, Michael Jordan, e in Italia la migliore coppia di telecronisti di tutti i tempi di tutti gli sport, Flavio Tranquillo e Federico Buffa.
E’ sufficiente per definire il tutto ? Questo è il nostro gioco del basket, questa è una verità che potete incidere nel marmo a imperitura memoria.
L’azione in campo e la voce che ce la racconta. The best.
Se vi siete stancati dell’elegia augustea che vi ho confezionato cambiate canale.
Adesso proverei invece a buttare giù due o tre che penso del libro edito da Baldini e Castoldi.
Altro tiro altro giro altro regalo assomiglia al suo autore, come lui stesso ammette. E’ un viaggio dentro e fuori il basket dove la sua vita si mescola con l’analisi di un qualche aspetto tecnico, è un libro che mi ricorda vagamente un certo modo di fare cinema, poniamo di Godard, poniamo di un film come La cinese, che ebbe come modelli Brecht ed Ejzenstejn.
Un racconto senza barriere in cui i confini tra chi racconta, il regista come Flavio, e la materia narrata, qui ovviamente il basket, sono annullati in un flusso ininterrotto di spunti, di riflessioni, di ricordi, di proposte, di argomentazioni.
Di Brecht è quel ciak in campo che nella narrazione classica è invero un gesto profano, qui è il suo flusso di coscienza e la sua esperienza personale, è l’abbattimento del muro dello studio SKY dove la voce è associata ora ad un volto e ad un vissuto.
Di più, è un flusso che non è fine a sé stesso, è una narrazione “per”, non solo “di”, come quando ci ricorda certi doveri di comportamento nella vita all’insegna dell’onestà e della legalità o come quando ci racconta della sua fortunata battaglia per l’instant replay in Italia.
Il tutto condito da citazioni, da momenti amarcord e quindi umoristici in senso strettamente felliniano, il tutto cucito in definitiva da quel montaggio delle attrazioni, da qui Ejzenstejn, che associa lo spunto razional-moralistico con lo slancio di pura passione.
Già in sede di introduzione infatti, e prima di cominciare, due citazioni ci raccontano bene le colonne su cui grava il peso portante di questo libro.
Una prima citazione sulle passioni da Gotthold Ephraim Lessing e una sul sapere che non possiamo raggiungere nel suo totale da Socrate, seppur tecnicamente presa da Platone considerando che il Maestro si affidò solo alla sua voce.
Già, la voce. La voce del basket in Italia. Due o tre cose che so di non sapere su questo libro, diciamo divise tematicamente proprio come ha deciso di fare l’autore.
PREGAME
La telecronaca
Mi sono immaginato per anni come fosse la prassi di una telecronaca NBA. Quindi si va di mattina, si trova la gara montata, ovviamente senza sapere nulla di quello che è successo la notte precedente.
Luca Chiabotti che lo “spoilera” col tiro vincente di Stockton per andare alle Finals ’97 è un racconto spassoso quanto si suppone sia stato doloroso per lui all’epoca. E’ uno dei motivi per i quali andare in fretta a comprare questo libro.
Ah, avreste già dovuto farlo ovviamente. Altrimenti lo spoiler ve l’ho rifilato io a voi. Questo, beninteso, è un racconto ex-post.
Per una volta ci raccontano infatti cosa c’è dietro. I leggendari fogli e blocchetti vari si sono trasformati in Ipad ma l’attenzione professionale resta la stessa.
Poi mi si contesta che sia il migliore nel suo ruolo. Questo non è solamente amore per il Gioco, è rispetto per i fruitori di un prodotto che ha qualità superiore.
Spesso mi chiedo se tutto questo ardore valga la pena per il basket. In fondo è un Gioco no ? Anche se con la G maiuscola.
A scanso di equivoci, vale la pena, eccome. Ma, solo a titolo di teorica riflessione, questo è un approccio che servirebbe ovunque e per cose ben più importanti nella vita.
Se ogni medico, insegnante, per non parlare dei nostri politici avesse una passione/professionalità che sia solo una frazione di quella di Flavio Tranquillo il nostro sarebbe un paese migliore.
Sì, a volte mi immagino che traslato questo modo di fare in altri lidi Flavio Tranquillo sarebbe magari al governo di questo paese e lo farebbe certamente meglio della maggioranza dei nostri eletti (eletti ?), al netto delle sue convinzioni partitiche che ignoro e che non mi interessano. E’ solo un’argomentazione, eterea ma seria.
E magari se non parlasse di calcio (altro tiro altro giro altro dolore) Federico Buffa col suo genio sarebbe stato un grande regista cinematografico o avrebbe magari vinto premi letterari, onori per i quali è certamente è ancora in tempo, a nostro discapito.
Invece hanno parlato di basket, vedi noi appassionati che fortunati. Meglio così, grazie al cielo che sia andata in questo modo.
PALLA A DUE
Il basket e il calcio
Piccola premessa personale. Io non odio il calcio, tutt’altro. Anzi, mi piace ricordare che prima che iniziassi ad amare il Gioco il calcio riempiva pienamente le mie giornate.
Del resto sono cresciuto in Italia e ne sono orgoglioso e come per quasi tutti i bambini il calcio è stato il latte della crescita.
Quando ero alle elementari il Foggia era in serie A e vedere quel meraviglioso calcio spettacolo di Zeman in tribuna, per di più entrando gratis, fu uno spettacolo il cui ricordo, oggi, enfatizzato dalla tenerissima età, è tessuto con commozione nel mio cuore.
Questo per dire, Zèman o Zemàn, che suvvia Flavio, va bene la serietà di una riunione ai vertici del basket italiano, ma la Nazionale si vede, sempre, Europei o Mondiali, mentre lavoriamo o se stiamo in vacanza, bandiera sul balcone e forza azzurri.
I rapporti tra basket e calcio in Italia non mi appassionano molto ma sono totalmente d’accordo con l’autore. Non odierà il calcio né lo ama però ha ragione nel chiedere rispetto per tutte le posizioni. La verità assoluta non esiste.
PRIMO QUARTO
Giocatori
Per quanti milioni di appassionati NBA ci sono nel mondo quante milioni di diverse classifiche sui giocatori preferiti possiamo leggere.
Anche qui, la curiosità su chi potesse piacere maggiormente a Flavio Tranquillo sul campo era troppo alta per non divorare questo capitolo in particolare che, per quello che lui rappresenta rispetto al basket è a mio modo di vedere è anche quello meno importante.
Ma qui, come per gli allenatori, non si delineano solo palpitazioni del cuore ma si disegna una vera e propria filosofia. Oddio, anni e anni di esperienza all’ascolto qualche indizio me lo avevano lasciato qua e là sul sentiero che conduce alla porta del suo cuore.
Non è infatti una lista che si possa dire a sorpresa, al contrario di quando ho saputo con somma ilarità che a suggerire di tradurre quarterback in “regista” negli anni ’80 ci fosse quel “noto imprenditore edile che negli anni a venire avrebbe avuto un buon successo nel calcio, in editoria e in politica nonostante annose vicende giudiziarie”.
Ovvio che la mia sarebbe diversa ma non interessa a nessuno. Importante è invece la lezione che questa lista suggerisce.
Ci sono giocatori che esaltano il concetto di gioco di squadra, vedi uno per tutti Tim Duncan, ci sono giocatori che hanno cementato la propria legacy sulla padronanza dei fondamentali pur non saltando il classico foglio di giornale, vedi il leggendario Bodiroga.
Unica deroga alla follia Rasheed Wallace, forse in parte Sabonis, ma il bello di ogni impulso è che qualcun altro ci avrebbe messo dentro solo tipi del genere, da Iverson in giù.
E’ una lista che riflette un certo tipo di personalità ? Forse, non è certo automatico che sei pazzo se dici che Artest o come diavolo si chiama oggi è il tuo giocatore preferito.
E’ vero però che la predilezione per certi risvolti del tessuto ci tramandano un Flavio Tranquillo che ha creduto e che ancora crede a certi valori che reputa a ragione come fondativi del Gioco come della vita.
Tra le altre cose, non presumendo di essere esaustivo, la mentalità di squadra e per la squadra di Tim Duncan e i fondamentali di Bodiroga non sono solo tra le pagine più belle della storia di questo Gioco.
Sono insegnamenti di vita, oltre che di come interpretare con successo il basket. Caratteristiche che chi vuol male potrebbe bollare frettolosamente come troppo razionali, sbagliando.
Se davvero il basket è vita il nostro autore ha inteso spiegare molto chiaramente come si dovrebbe sempre giocare. E quindi vivere.
Piccola nota per Ginobili, che meriterebbe un capitolo a parte. Lo ammetto, e forse qui per la prima volta mi guadagno la pagnotta camminando ai lati dell’elegia che sto orgogliosamente scrivendo.
Ammetto che ero uno dei pochi o tanti che fossero, non ha importanza, che ad un certo punto ha avuto anche un pur minimo gesto di stizza contro le grida sperticate in suo onore.
Si intuiva chiaramente che a nessun altro giocatore era riservato un trattamento del genere, questo è oggettivo e del resto se l’argentino è nella parte buona di questo libro ne è una prova certificata ed una candida confessione.
Mi sono pure permesso di scrivere, seppur come provocazione, che odiavo gli Spurs, vuoi per certe inclinazioni personali vuoi per insita ribellione, comunque, anche qui poco importa.
Il problema è che si tratta semplicemente di un modo di intendere il Gioco e la vita, e fortunatamente, come spesso ricorda, la verità assoluta non esiste e quindi all’epoca, oggi non più, non mi infastidiva la divinizzazione di Ginobili di per sé, ma che questa divinizzazione fosse riservata a lui e non ad altri che a mio avviso meritavano di più.
Per esempio a qualche afro-americano con la palla in mano, si, c’era anche il passaporto. Sono cresciuto idolatrando il Gioco che si potesse incarnare al suo massimo in un ragazzo nero, relegando il resto a B-side.
Stupido ero e probabilmente rimango, oggi ho capito serenamente che a sbagliare ero io, che lui aveva tutto il diritto di osannare Manu e che Manu, oh my god, era ed è un grande giocatore.
Quelle grida mi stavano fuorviando perchè più lo elogiava più mi chiedevo se ne valesse il sommo onore. Chiedo scuso ma con l’età ci si ravvede.
Ieri bastava un crossover o una slam dunk in piena estensione, oggi ho capito che si deve costruire su ben più solidi terreni.
Oh, benintesi. De gustibus. Quel crossover o quella slam dunk nati dal ghetto valgono sempre, anzi che no, direbbe proprio il nostro.
SECONDO QUARTO
Michael e LeBron
Ecco, qui proprio non siamo d’accordo. Non mi interessa paragonare LeBron a MJ, basta, una volta per tutte, anche se il paragone è inevitabile e ha comunque un suo certo fascino.
Mi interessa ribadire la definizione del Gioco di cui sopra. Ci sono poche certezze nella vita. Una di queste è sempre stata la posizione lassù in alto di Michael, padrone e dominatore dell’olimpo degli dei.
Che abbia provato a sfidare il pensiero unico gli fa onore, e serve ricordare ancora una volta che ogni opinione merita rispetto, che ci sono sempre mille sfaccettature e che non si deve mai fare di ogni erba un fascio, che non bisogna confondere le opinioni con i fatti e le apparenze con la verità.
Tutto giusto, del resto questa sottotraccia moralistica che invade il libro ne è un lascito prezioso, che non è banalmente né un elenco di ricordi né lo spunto per alcune sue crociate ma in fin dei conti anche un monito su quali siano le cose che davvero hanno importanza e allo stesso tempo un incoraggiamento a lottare sempre, anche quando si è persi in mare aperto. RC Buford con la sua targa docet.
Quindi non entriamo nell’aspetto tecnico, servirebbe o troppo tempo perchè ampia la materia o troppo poco tempo perchè ad ogni modo possiamo liquidare il tutto come “è una questione di gusti, è soggettivo”.
Io penso modestamente che la sua affermazione sul 90% delle volte sulla risposta sul chi sia The greatest appartenga all’indirizzo di Michael Jordan non sia di per sè non corrispondente al vero, quindi concordo che la verità assoluta non la possiede nessuno, ma che più semplicemente mi sorprende.
Ripeto, abbiamo già troppe poche certezze nella vita. Lasciami Michael come The Greatest senza provare a contestare, per una volta facciamo un’eccezione ai nostri ragionamenti logici. Solo per una volta, Michael se lo merita.
Per una volta sola sospendiamo il giudizio della nostra ragione. Ci sono verità che non si dimostrano con le nostre argomentazione cartesiane, che poi a ben vedere a Michael gioverebbero solo.
Penso, dunque sono. Il basket, dunque Michael Jordan. Anzi, Michael Jordan, dunque il basket.
TERZO QUARTO
La legalità
Non ho mai pensato che i telecronisti sportivi fossero degli assoluti “depensanti” (cit. Sgarbi sul ministro Alfano) però riconoscere che oltre il basket c’è qualcos’altro ci avvicina pienamente al nostro personale senso della vita, pronti per Bonolis e le sue fotografie esistenziali.
Nel caso di Flavio Tranquillo c’è una sensibilità che è serissima e non può che riflettere il nostro profondo rispetto.
Parlo del suo impegno per la legalità, di più, senza giri di parole, della lotta alla mafia. Il suo cuore calabrese gli ha suggerito un libro che non fosse solo un viaggio alla Luna su quel meraviglioso pianeta chiamato basket.
In questo paese abbiamo un problema e sono contento che possa cementarsi su questo una coscienza pienamente nazionale. La mafia non è solo nel mio Sud ma anche dalle parti di Rogoredo dove Tranquillo strepiterà fra poco per i playoff NBA.
E’ un problema di criminalità organizzata ma prima di rispetto delle regole, che parte da noi cittadini quando compiliamo le incombenze fiscali o anche più minimamente quando facciamo la fila alle Poste.
In Benvenuto Presidente i “poteri forti” sono i commedianti che si lamentano perchè il nuovo capo dello stato Bisio, un filino più esuberante di Mattarella, vuole fare sul serio piazza pulita di tutto lo sporco che c’è in Italia.
Da qui la conseguenza che loro, osservatori in chiave ironica della realtà, per colpa di questo moto puritano non avrebbero più potuto sfornare quei capolavori sui mali e sui vizi così profondamente scolpiti nella realtà italiana.
Ho amato e amo l’Italia così com’è, con tutti i suoi pregi se non anche soprattutto per i suoi difetti. Affermazione forse troppo forte direte, da stupido ignorante senza una coscienza sociale.
Forse è vero, mi merito tutti gli improperi. Ma ho sempre pensato che se poi il risultato è ammirare I soliti ignoti, Il Sorpasso, Lo scopone scientifico o C’eravamo tanto amati, per citarne una ciascuna dei registi maggiori della Commedia all’italiana allora vale sempre e comunque la massima decantata da Orson Welles ne Il terzo uomo ripresa anche dal nostro autore nel libro.
“In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”.
Questo libro prova a farmi scricchiolare questa mia convinzione. Resta il tratto, comunque profondamente tracciato nel terreno.
La lotta alla mafia è un sacrosanto dovere del cittadino onesto, se ne devono essere accorti anche lassù a Milano e non mi riferisco a Flavio Tranquillo, in questo caso meritoria voce fuori dal coro.
QUARTO QUARTO
Le critiche
Ho la vaga sensazione che tra i mille motivi che lo abbiano spinto a scrivere questo libro forse una ragione, seppur minoritaria, sia stata quella di puntualizzare alcuni nodi spinosi.
Qua e là infatti Altro tiro suona un po’ come riposta a varie critiche che man mano nella sua carriera avrà avuto modo di incassare.
Critiche inevitabili, perchè nessuno è perfetto e perchè l’invida è sempre in agguato e risposte ben circostanziate. C’è la questione del tifo. Non ho mai avuto modo di dubitare sull’onestà delle sue telecronache, mai.
Chi lo definisce fazioso fa torto alla sua cultura ed è profondamente sbagliato muovergli accuse di imparzialità.
Che poi, a ben vedere, riguardo soprattutto la NBA, non è certo un male dichiararsi verso una qualche squadra che comunque è pur sempre dall’altra parte dell’oceano.
Buffa tifa per i Clippers, questo ha mai guastato la qualità del suo commento tecnico ? Certo che no, con i Clippers sempiterni dannati all’inferno non si è nemmeno mai posto il problema, magari ora con CP3 la storia cambia ma lui insegue Cristiano Ronaldo e George Best, altro tiro altro giro sapete già.
Quindi una volta per tutte Flavio Tranquillo ha chiarito che lui non “tifa” gli Spurs ma è solo stima per un concetto prima ancora che per una squadra.
Coach Popovich è a capo di un way of life, non di una squadra di basket.
A ben vedere le risposte nel libro sono diverse. Sul famoso articolo anonimo diffamatorio non pensavo valesse per lui la pena tornarci ma è sempre meglio essere chiari. Del resto che sia permaloso lo ammette lui stesso.
A proposito, Dan Peterson ha risposto al suo appello ? Ha dichiarato pubblicamente che Tranquillo non c’entra nulla con la sua defenestrazione da SKY ?
Comunque, polemiche a parte, voglio solo ribadire che un libro che abbia per oggetto la professione, in questo caso il giornalismo sportivo, non può prescindere da un’analisi spassionata anche sui limiti di questa, sulle sue problematiche e sul rapporto ampio con i consumatori ai quali questo prodotto è destinato.
Apprezzo tanto quello che per alcuni può suonare invece come arroganza, Flavio Tranquillo si è espresso a cuore aperto e questo è un altro pregio della sua fatica letteraria.
OVERTIME
Federico Buffa
Per me sono sempre stati Flavio Tranquillo e Federico Buffa, come Lennon e McCartney, un duo inscindibile che ha riscritto le regole della perfezione e con questa il declamare in telecronaca i nostri eroi del basket.
Uno dei miei grandi interessi di questo libro è stato quindi indagare un po’ sul loro rapporto, al di fuori del contesto delle cuffie e del microfono.
Botte di culo multiple e quel campetto milanese galeotto per il loro primo incontro, davvero, come John incontra per caso Paul e da lì musica per le nostre orecchie.
Ho scoperto che deve proprio a Buffa l’incontro col maestro Giordani e da lì le radiocronache dell’Olimpia Milano a ruoli invertiti e anche un po’ della comprensione della lingua inglese perchè “rispondeva a seconda del contesto come Geoffrey Chaucer o Eminem”.
Non mi voglio dilungare sul fatto che Buffa abbia “spedito le sue labbra a indirizzo nuovo” ma se ci ritorno di continuo è la testimonianza della mia, anzi della nostra tristezza che questa coppia non possa più deliziarci nei pomeriggi di regular season e nelle notti di NBA Finals.
Ad ogni modo dalle pagine traspare un’amicizia sincera, e quel grazie reiterato all’Avvocato è nella Top 10 al pari di tutti i flashback personali, dalla difficoltà a recepire la NBA tra fine anni ’70 e inizio anni ’80 tra VHS e telefonate intercontinentali a quella prima volta volta in America/NBA nel gennaio 1989.
Quel volo agile tra le confinanti Miami e Los Angeles, facile facile…Non è da tutti ammetterlo con auto-ironia ciò che oggi può fa ridere con Google Maps comodamente in tasca sul nostro smartphone.
Oggi grazie a Internet e ai social si sono rotte tante barriere, siamo tutti più vicino e forse è pure un male perchè tutto è diventato più banale e si è spezzato un po’ l’incanto della sortita temeraria.
Oggi quindi non avrei troppe difficoltà a raggiungere Flavio Tranquillo, basta un profilo Twitter, poi lui potrà non rispondermi, bontà sua, ma sicuramente è più facile tentare di comunicare con lui.
Anni fa, penso a inizio Terzo Millennio, poteva essere il 2001 per esempio, tentai vanamente una zingarata. Epoca pre-social, per avere un contatto dovevi spedire una mail all’addetto comunicazione dell’allora Tele+ che poi l’avrebbe eventualmente smistata all’interessato.
Una cazzata, ne più né meno, tentai di avvisarlo che continuando a chiamare quei cosi che si agitano nelle arene NBA dietro al canestro per infastidire chi tira i liberi (vedi foto) “pingoni” provocava ilarità inconsciamente volgare.
Dalle nostri parti infatti un “pingone” è un “coglione”, diciamo così, è una parolaccia. Questione non proprio da massimi sistemi ma ero un ragazzino e mi divertiva farmi presente, dichiarare a lui che ricevevo il suo segnale e ne godevo.
Un po’ meglio andò con Buffa, ma pur sempre in epoca pre-social. Non so come e non so perchè, resta davvero un grande mistero, ma da qualche parte su un forum un utente mi diede il suo numero di telefono.
Chiamai varie volte, non rispondeva mai nessuno. Ovvio, secondo te un utente su un forum mi dà il numero di telefono di Buffa ?
Invece all’improvviso e con mia somma sorpresa ricevetti una chiamata, erano tipo le 3 di un pomeriggio di inizio 2004, il giorno dopo il Super Bowl tra New England Patriots e Carolina Panthers.
Era lui, Federico Buffa mi aveva chiamato al telefono ! Parlammo per un po’, gli presentai il sito, sinceramente non ricordo quasi niente di quello che ci dicemmo tanto era grande la mia emozione.
Vagheggiai di interviste o addirittura di collaborazioni col nostro sito, non se ne fece niente, forse la mia era solo una sfida che avevo vinto con gloria. Avevo parlato con Buffa, anzi, tecnicamente aveva pure chiamato lui.
Poi tentai di richiamarlo ma non ebbi più modo di parlargli, il telefono non suonava più a vuoto ma risultava staccato. La linea non esisteva più. Devo avergli fatto proprio una bella impressione anche se non pretendo di essere quello che gli ha indotto a cambiare numero, se mai è successo, deve essere andata diversamente.
Ad ogni modo, tornando al libro, posto che Black Jesus per me ha lo stesso valore letterario de Alla ricerca del tempo perduto (mio tentativo di recensione di allora, volume 1 e volume 2), il racconto di Flavio è bello perchè spiega a chi è più giovane che una volta non era così immediato come oggi accedere a certe informazioni e che la sua passione quando in Tv la NBA ancora non c’era era tanto grande quanto avventurosa.
Bei tempi, ah scusate, mi è arrivata una notifica sull’S5 Mini. Russell Westbrook di tripla doppia e The Beard col canestro della vittoria. Meglio spegnere il cellulare.
POSTGAME
Carriera a tutto tondo
Flavio Tranquillo è uomo di basket, l’ha vissuto intensamente e da tutti i punti di vista. Giocatore, arbitro, allenatore, infine giornalista.
Il suo viaggio è quindi totale ed ogni capitolo sulle sue varie incarnazioni aiuta a comporre il quadro di un rapporto avvolgente.
Bellissime le pagine in cui accenna al suo contribuito da point guard, cambio di Buffa e su suo consiglio allenatore e ancora straordinarie le vibrazioni sul suo passato da radiocronista dell’Olimpia Milano.
Quella vittoria dello scudetto con canestro contestato e la scorta per uscire dal palazzo, quei viaggi in pullman con la squadra, quel passaggio in macchina a coach Dan Peterson.
Ecco, se devo leggere una passione nel libro scorgo in queste righe milanesi anni ’80 un senso del “bello cosa faccio e lo faccio con tutto me stesso” che è la cifra del suo essere e che dovrebbe essere approccio comune per ogni lavoratore.
Mi ricollego dunque al principio per chiudere. Passione e sapienza, ovvero professionalità, so di non sapere ma non voglio arrivare impreparato al traguardo.
Questo libro è una piccola grande lezione per chi da dicembre ’99 (primo abbonamento a Tele+, 360 di Vince Carter a Dallas) è allietato dalla sua voce che riempie le mie giornate.
Ancora non ci credete alla storia di Omero che canta del Pelide Achille ? Non ci credete che è un eroe tanto chi vinse a Troia ma di più chi lo rese immortale ?
Roma. 29 settembre 2011, giorno del mio onomastico. Gli auguri me li faccio da solo andando a Via del Corso, c’è Kobe Bryant in tour promozionale per gli sponsor, presenzierà davanti ad un negozio.
I romani del posto accolgono il nostro Laker “bene ma non benissimo”. Pressappoco “ma che state a fa ?”, la folla intanto ha invaso e completamente bloccato due o tre isolati, “ma è Kobe Bryant”, gli rispondiamo, “una stella del basket”, “e sti cazzi” risponde lo stolto preoccupato solo di dover passare col suo mezzo.
A introdurre e ad intervistare il bambino che fu italiano figlio di Jellybean c’è lui, Flavio Tranquillo. Quel giorno ho visto per la prima volta Achille ed Omero, non ci credete ?
Grande Kobe, mitico, da sempre nel mio cuore, poi sono andato da Flavio.
Stessa emozione, la lira in mano mai stanco dei suoi versi.
Cantami o Flavio, del Michael che fu e di Lebron suo erede, l’ira funesta che infinite addusse lutti agli avversari, molte anzi tempo a canestro, generose travolse alme d’eroi.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”
Complimenti bell’articolo, e direi anche lunga vita a Tranquillo.Le sue telecronache mi piacciono un sacco, ovvio insieme a Buffa e’ un’altra storia…
Comprero’ sicuramente il libro….ma solo dopo i playoff…
Alle