La stagione dei Portland Trail Blazers non si è conclusa nel migliore dei modi, dominati in lungo e in largo dagli Spurs. Ma solo 2 anni fa era difficilmente pronosticabile pensare a dei Blazers già pronti per palcoscenici così importanti.

Il cammino della ricostruzione, che sembrava lungo ed impervio, si è rivelato più breve di quello che si potesse pensare e la formazione della “Rip City” ha regalato una stagione più che positiva al suo pubblico.

L’inizio di regular season, soprattutto, è stata al di sopra di ogni aspettativa. La squadra di coach Stotts ha inanellato 25 vittorie nelle prime 32 partite (78%), salvo poi calare nella seconda parte di stagione chiudendo comunque con il più che rispettabile record di 54-28, quinti ad ovest. I Blazers sono sembrati veramente una squadra diversa rispetto a quella che aveva concluso la stagione 12/13 senza nemmeno staccare un biglietto per la post season.

Le ragioni di questa crescita esponenziale sono state molteplici. In primo luogo l’esplosione di Lillard, che al secondo anno in NBA ha dimostrato una maturità sorprendente e che ha dato alla squadra quella fluidità offensiva che era mancata in passato.

Il prodotto di Weber State ha concluso la stagione regolare con una media di 22,9 punti (quinto tra le guardie) e 6,5 assist (sesto tra le guardie) di media portando per mano i suoi ad una qualificazione ai playoff che mancava da troppi anni nell’Oregon.

Ma quell’inizio fulminante è stato marchiato a fuoco dalle prestazioni di LaMarcus Aldridge, mai così decisivo come in questa stagione, tanto che molti addetti ai lavori, nella fase pre All Star Game, lo davano tra i possibili candidati al premio di Mvp.

Il nativo di Dallas, grazie anche all’arrivo di Robin Lopez, ha finalmente avuto la possibilità di operare più lontano da canestro, dove si è rivelato letteralmente micidiale e ha contribuito in modo essenziale a questa stagione di rinascita.

Proprio il centro proveniente dai Suns è stata un’altra nota lieta di quest’anno, dando ai Blazers quella copertura in più a centro area che era mancata nelle precedenti stagioni.

Il primo quintetto, completato da Nicolas Batum e Wesley Matthwes, è stata la vera forza di Portland, confermando quello che di buono la franchigia aveva fatto vedere nella scorsa stagione: la squadra dell’Oregon, con questi 5 giocatori in campo ha prodotto 47,9 punti a partita, prima tra le lineup della lega.

Però, dietro questo dato si nasconde anche il limite di questa squadra. La franchigia, infatti, a fronte di un primo quintetto di assoluto livello non è ancora riuscita ad assicurarsi una panchina sufficientemente profonda, necessaria per fare il definitivo salto. Portland è risultata ultima nella lega per punti dalla panchina, 23,6 a gara (quasi la metà esatta della panchina di San Antonio, che guida la classifica).

L’unico giocatore che ha assicurato buone prestazioni offensive uscendo dalla panchina (9,7 punti in 24 minuti di utilizzo medio) è Mo Williams, arrivato quest’anno a Portland, che però ha mostrato i soliti limiti nella costruzione del gioco, monopolizzando troppo spesso i possessi offensivi.

Si è rivelato un flop il rookie CJ McCollum, che era stato scelto da Portland proprio per cercare punti in uscita dal pino. Ci si aspettava qualcosa in più anche da Thomas Robinson, arrivato in estate da Sacramento. Il sophomore ha indubbie qualità atletiche, ma difetta però della maturità necessaria per dare un contributo significativo alla causa.

La difesa poi non è ancora ai livelli delle prime della classe (104,7 punti concessi su 100 possessi), nonostante l’arrivo del già citato Lopez abbia dato una notevole mano in questo senso. Ma dopo ormai due anni di gestione Stotts, è chiaro quale sia il DNA di questa squadra, votata indubbiamente alla fase offensiva, dove ha eccelso per produzione (quinti per punti su 100 possessi) e qualità nella scelta dei tiri.

Il problema con il quale dovranno confrontarsi Neal Olshey ed i suoi collaboratori in estate sarà come migliorare questa squadra.

La base dalla quale partire è senza dubbio eccellente. Lillard sembra non volersi fermare nel suo percorso di crescita, anche se è difficile prevedere a che livello arriverà negli anni della sua definitiva maturazione.

Si aspetta ancora il definitivo salto di qualità da parte di Batum, giocatore dalle potenzialità impressionanti ma che spesso esce inspiegabilmente fuori dal ritmo partita. Il resto del quintetto è composto da giocatori solidi, che assicurano prestazioni al di là di ogni sospetto, e sembra difficile ipotizzare che uno di loro si sposterà in estate.

I Blazers non possono nemmeno sperare in una buona presa al draft, in conseguenza della cessione delle loro due scelte per il 2014 e non potranno quindi sperare in un buon prospetto da aggiungere al roster.

In più lo spazio per lavorare sotto il tetto salariale non è altissimo, ed anche per questo Olshey dovrà essere bravo e lungimirante nelle eventuali operazioni di scambio, cercando di sfruttare il più possibile la particolare situazione in cui si troverà il mercato NBA questa estate, con tanti free agent di livello che potrebbero cambiare casacca.

La sensazione però è che questa squadra, senza almeno due buoni innesti per la panchina, sarà destinata ad anni di sicura qualificazione ai playoff, senza però riuscire a fare il definitivo salto. Soprattutto per questa ragione, si preannuncia una calda estate nell’Oregon.

 

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