Lo aspettavamo al varco. Non solo noi, sia chiaro.

Dopo la partenza del gemello diverso (molto diverso) Kevin Durant, e dopo la sua decisione – abbastanza a sorpresa – di estendere di una stagione il contratto con la franchigia che l’ha scelto, l’ha lanciato e in tutti questi anni l’ha sempre sostenuto, da lui ci si aspettava il botto.

D’altra parte, l’avevamo già visto in azione in versione “all alone” nel finale della stagione 2015 quando, con KD in infermeria alle prese col problema al piede, nelle ultime 26 partite di regular season prese in mano la squadra viaggiando alle seguenti medie: 31 punti, 9.8 assist, 8.8 rimbalzi.

Da allora sono passati quasi 2 anni, con un ultimo assalto alle Finals sfumato per una questione di dettagli, un paio di tiri impossibili entrati a Klay Thompson nella ormai famosa Gara 6 alla Chesapeake Arena, e riecco il nostro Russell in versione “comandante in capo”, con nuovi compagni ma con la stessa irrefrenabile grinta ed intensità, quella voglia di spaccare i ferri e le partite senza paura di sbagliare, o di esagerare.

Oklahoma City l’ha sempre amato, impossibile non farlo: è sempre stato un grandissimo solista, cocciuto come un asino, ma non un egoista alla Allen Iverson. Russell la palla la sa passare eccome, ed i vari Adams, Kanter e Oladipo si nutrono degli spazi che crea, delle occasioni che nascono dai raddoppi che puntualmente scattano per cercare di contenere le sue penetrazioni.

Tutto questo, dicevamo, era in qualche modo prevedibile: non a caso, il giocatore era ed è in cima alla lista dei desideri dei fantagiocatori di tutto il mondo.

Ma la tripla doppia di media stagionale?
Quella aberrazione statistica che risiede nel passato un po’ come i 100 punti di Chamberlain, un po’ come i fossili di dinosauro in Patagonia?

31,7 punti, 10,6 rimbalzi, 10,9 assist – 15 triple doppie in 32 partite, di cui 6 realizzate prima della fine del terzo quarto. Primo per punti segnati, secondo per assist, undicesimo per rimbalzi.

In una lega di super atleti, di “freak of the nature” alla Lebron, alla Giannis, alla Anthony Davis, in un campionato in cui il livello di scouting, di preparazione delle partite, di scienza applicata allo sport, di statistiche avanzate è il top del mondo, in tutto questo Russell Westbrook è il Big O dei nostri tempi, un giocatore speciale per la sua combinazione di atletismo, grinta, tecnica ed immensa resistenza alla fatica.

Un super freak impossibile da fermare, che puoi provare a rallentare, a costringere a pensare, ma il cui motore non si ferma mai.

I suoi Thunder al momento occupano un più che onorevole quinto posto nella Western Conference, un risultato insperato con una squadra in gran parte rinnovata, con un rookie in quintetto ed un Oladipo ancora ben lontano dall’essere un valido secondo violino per una contender.

Tuttavia, proprio i risultati di squadra saranno decisivi per l’assegnazione del premio di MVP stagionale: al momento anche il suo ex compagno Harden sta avendo una stagione eccezionale, sia individualmente che a livello di classifica con i suoi Rockets, senza dimenticare le candidature “automatiche” di Lebron e KD.

Ma romanticamente, come si potrebbe non dargli il premio di Most Valuable Player se riuscisse a raggiungere il traguardo del mitico Oscar Robertson?

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